Che io poi non sono molto bravo con le cose autoimposte, ho bisogno di una consegna, di una data, di una deadline come dicono nel mondo degli affari. Senza delle prescrizioni mi perdo nella libertà. Quanto può starti stretta la libertà, amico, è meglio non saperlo.
Ti ho dato dell’amico ma, in realtà, dovrei darle del lei. In fondo lei deve correggere il mio elaborato e dirmi se ho capito qualcosa in questo corso di scrittura creativa. Come mi ha più volte ripetuto la creatività deve essere strutturata, altrimenti sarebbero pagine e pagine di lettere senza significato: il tempio di Wittgenstein. Beh non dovrei citare autori, soprattutto a sproposito, questo mi costerà un punto, il secondo punto me lo sono giocato invece scrivendo un testo che sembri un testo, e che non sia “vita”. Questo lo ha ripetuto lei signor Frulio, oppure lo ha detto un personaggio di qualche film sulla scrittura, quei film che vogliono parlare di libri perché film che vogliono parlare di cinema annoiano.
Ritornando allo scopo di questo scritto. Scopo? Beh è una parola enorme. Diciamo funzione, così il signor Wittgenstein è contento (ora i punti persi arrivano a tre, spero però che alla fine lei decida di essere clemente).
Ho aperto il file che ha inviato a tutti gli “studenti”, lo so che non dobbiamo chiamarci studenti perché la nostra è una scuola speciale, non ci sono cattedre né carte geografiche, ma mi risulta più facile etichettarmi come studente, lo sono stato per parecchi anni.
Nella mail c’è una piccola guida e cinque parole. Bene, una di queste cinque parole deve essere il tema dell’elaborato finale.
Amore.
Appartenenza.
Strada.
Viaggiare.
Tempo.
Purtroppo, però, leggendo queste cinque parole mi sono bloccato. Al massimo avrei trovato ispirazione in alcune combinazioni di parole, ad esempio “viaggiare nel tempo”, “amore in strada”. Ma, si sa, l’ispirazione è merce rara e non si compra in giro, non serve il denaro.
Però senza denaro non avrei potuto iniziare questo corso e, quindi, ormai che ci siamo parliamo di denaro.
Riscrivo un po’ le linee guida altrimenti mi perdo, se non riesco a rispettare delle semplici regole tematiche, voglio almeno rispettare l’impostazione grafica.
Guida per la stesura dell’elaborato scritto.
Lunghezza: da un minimo di 3.000 ad un massimo di 5.000 parole (al di fuori delle note a piè di pagina).
Formato: Carta A4, bordi 2,5cm, interlinea singola, dimensione carattere (corpo di testo) 11pt.
Sulla prima pagina devono essere indicati chiaramente: cognome, nome e numero di matricola del discente; il titolo dell’elaborato finale.
Consegna: l’elaborato scritto va consegnato per e-mail a Frulio.scritturacreativabenjamin@libero.it non meno di 10 giorni prima dell’otto febbraio 2015 termine del corso.
Ecco fatto, si parte.
Amorefamigliatempoviaggiarestrada, non fanno per me. Eccomi concentrato sul denaro, lasciamo la sovrastruttura e torniamo al nocciolo della questione.
“Rena Michele, N.M. 300/890.
Monique.
Iniziai per denaro, ero all’ultimo anno di psicologia, un po’ fuori corso, le prospettive lavorative non mi sembravano allettanti, fare il terapeuta significava interessarsi a storie di donne che hanno problemi con il loro uomo, spesso perché non vengono considerate, e l’analista deve considerarle o giustificarle qualora decidano che è tempo di tradire il proprio marito, oppure devono parlare di perché sono state lasciate dal proprio marito e che in fin dei conti non è colpa loro: la causa del loro carattere poco affabile è da ricercare in un educazione troppo rigida, ed il loro culone è così largo soltanto perché sono insoddisfatte, spesso bisogna consigliare lo yoga.
La passione per la psicanalisi mi era passata, però se c’è una cosa che odio è lasciare le cose a metà, quindi ero deciso a finire il mio corso di studi, poi fare qualcosa di meglio come il dog-sitter o vendere il mio sperma in provette.
Il denaro, beh questo mi mancava. Avevo bisogno di fare un lavoretto e così decisi di girare un po’ per bar, ma sono un po’ goffo, quando ho provato a fare il cameriere sono stato licenziato dopo quattro giorni, e la credenza rotta mi è costata circa quattro mesi di potenziale stipendio. Così provai a fare la classica cosa che fa uno studente squattrinato e cioè farsi sfruttare in un call center, però non mi avevano detto che non si può rispondere agli insulti della gente, così sono stato licenziato al primo giorno questa volta. Nonostante ciò, ho guadagnato comunque qualche spicciolo. Certo non dall’agenzia di televendite, ma se andate su youtube e scrivete “centralinista sbrocca e offre polizza per andare a fanc…” vedrete la mia registrazione, ha circa 1.5 mln di visualizzazioni e dopotutto qualche spicciolo l’ho tirato su, ci ho ripagato la credenza.
Bussai di porta in porta, finché non trovai un negozio di antiquariato, era piccolo e sporco e sembrava che gli affari non andassero alla grande, non avevo alcuna possibilità di essere assunto, naturalmente mi sbagliavo.
«Salve sono Michele Rena, cerco lavoro.»
«Salve, perché dovrei darti un lavoro? Pensi che ci sia del lavoro da fare? Ma hai visto questo posto?»
«Beh tentar non nuoce.»
«Tentar non nuoce, ma rompe i coglioni!»
«In questo sono molto bravo, diciamo che ho smosso già le acque.»
«Certo ragazzo, sei molto bravo a smuovere i coglioni. Che sai fare?»
«Beh non so fare granché, non ne capisco niente di mobili, però potrei spolverare, inventariare, potrei parlare con i clienti, ho dei modi gentili in fondo.»
«Pensavo che questa gentilezza nascesse dalla tua omosessualità, quindi sei solo stato educato bene, hai studiato si sente da come parli: cosa?»
«Psicologia, un errore di gioventù.»
«Quindi sai capire la gente, sai usare un computer e sai spolverare. Ti vanno bene sei euro l’ora per quattro ore al giorno? In nero naturalmente.»
«Non sono nella condizione di dire di no, gli orari?»
«Dalle tre del pomeriggio fino alle sette di sera, la mattina non apro: adoro dormire. Ah dimenticavo dovrai spostare mobili all’occorrenza, o forse questo può recare danno alla tua psiche?»
«No signore, la mia psiche è già danneggiata da anni di autorità paterna opprimente che è sfociata in anni di autoerotismo opprimente.»
«Abbiamo un accordo allora.»
«Certo, lei come si chiama?»
«Michele dammi del tu, sono una persona informale. E comunque per te sarò Sua Grazia.»
«Va bene, è stato gentilissimo Sua Grazia.»
«Dammi del tu! A domani.»
Inventario, inventario, inventario, ci ho messo sette giorni per fare l’inventario di tutte le cianfrusaglie che c’erano. Beh cianfrusaglie è un termine generico, forse troppo generico, in fondo ho trovato: n1 set di porcellane Ming del XVI secolo appartenute all’ambasciatore prussiano Von Gendhy, n1 poltrona Luigi XIV secolo diciannovesimo appartenuta a lady Hozier, n1 dormeuse fine ‘800 appartenuta a Emma Jung, e così via. Ci ho messo sette giorni per inventariare tutto e pensavo di aver fatto un buon lavoro, pensavo.
«Fatto, Sua Grazia.»
«Non dovevo pagarti ad ore, sei terribilmente lento.»
«Sua Grazia lei mi paga meno di un bracciante nero.»
«Il bracciante negro lavora per ore sotto il sole, ed io ricordo di averti offerto anche tè e pasticcini. Poi cos’è un nero? Si dice negro.»
«Sua Grazia, non voglio correggerla, però da anni il termine negro è offensivo.»
«Prendi quel dizionario, lì sulla mensola, che tra l’altro non hai inventariato e cerca.»
«Ok Sua Grazia, ma ho ragione io.»
«Cerca cretino! Anche cretino è una parola offensiva, ma questa per davvero.»
«Ok, ok, allora… In antropologia, appartenente alle etnie (sudanese, nilotica, cafra, silvestre, batua, andamanese, aetide), viventi per lo più in Africa e in poche regioni dell’Asia, comprese nel ceppo negride (v. questa voce). Nel linguaggio comune con l’espressione razza negra si intende il complesso delle popolazioni del ceppo negride o, più ampiamente, del ramo negroide, mentre l’agg. negro viene usato genericamente per qualificare tutto ciò che si riferisce a tali popolazioni o vi appartiene: le tribù ennepuntanto; arte ennepuntato; letteratura ennepuntato; un vescovo enne puntato.»
«Chi ha ragione allora?»
«Beh lei, ma deve considerare che questo dizionario è stato scritto nel 1891, ora è considerato razzista.»
«Io sono del 1921 e qui dentro non è considerato razzista, al massimo sei tu ad essere considerato un impudente, non i negri.»
«Sua Grazia mi scuso, però posso usare la parola nero al posto di negro?»
«Nero è il colore, negro è chi ha la pelle nera, non ci vedo nulla di male, ma se vuoi sembrare un rozzo Zulù nella tua vita non ho niente da obbiettare, ma qui al Mounique no.»
«Anche la parola Zulù usata in questo modo è una cosa razzista.»
«Ti verrà decurtato il costo di questa tazza da tè dalla paga.»
«Per quale motivo? Le sto rispondendo, non sto perdendo tempo.»
«Non è per il tempo, ma l’hai rotta.»
«Sua Grazia non vede che la tazza è ancora lì? Forse è un po’ stanco, si riposi.»
«Michele dammi del tu! E non sono per nulla stanco!»
«Ok, se lo dici tu.»
Anche questa volta Sua Grazia aveva ragione, e per dimostrarlo mi scagliò la tazza contro. Quel giorno uscii prima da lavoro e con due punti di sutura in più.
Passarono diversi mesi, provai a convincere sua grazia a mettere tutto l’inventario online per poter attirare più clienti. Lui mi spiegò che la vendita del suo negozio si basava su una ristretta e facoltosa cerchia di vedove e professionisti in pensione, e che non c’era bisogno di allargare la clientela. Questa volta si sbagliava.
«Mettiamo tutto online, avrai più clienti.»
«Non penso sia cosa saggia ragazzo, la mia clientela è formata da gente che si fida di me, io sono la garanzia. Non vendo mobili, vendo la certezza di non essere fregati.»
«Non vendi mobili? E cosa ho inventariato? Cosa spolvero? Non mi sembra di aver scaricato un camion di fiducia ieri mattina.»
«Devo decurtarti un’altra tazza?»
«No ti prego Sua Grazia, vorrei solo capire.»
«Caro mio ragazzo sveglio, perché il tuo inventario è lunghissimo ed ha sempre n1 davanti?»
«Perché compri rimanenze Sua Grazia?»
«No, perché qui dentro sono tutti pezzi unici, caro decerebrato.»
«Beh la cosa può avere un senso.»
«Io sono un garante, la vedi quella moneta? È una semplice sterlina d’oro, il suo valore commerciale è circa 400.000 lire, ma io la vendo a 36.000.000 perché è appartenuta a Winston Churchill. È un pezzo unico, gli fu data in dono da suo zio John Spencer-Churchill VII duca di Marlborough. La gente non compra questa sterlina perché è una sterlina, ma perché è la sterlina di Winston Churchill, è un pezzo di storia, ed io data l’autorità che ho nel mio campo dico a chi compra che sta comprando un pezzo unico. Vendo verità, vendo fiducia, e la fiducia ha un prezzo molto caro. Non ti ha mai dato a pensare il nome del negozio Mounique?»
«La parola Monique vuol dire Monica in francese.»
«La parola Mounique vuol dire mobili unici. E poi in francese si dice Monique, leggi l’insegna! C’è un punto dopo il Mo: è mobilia puntato.»
«Non credo che la cosa sia così lampante.»
«Vedi bene l’insegna!»
«Hai ragione Sua grazia, ma comunque non credo che abbia molto senso, è un ragionamento astruso, e poi a dirla tutta la sterlina non è un mobile.»
«Ti verranno decurtate due tazze oggi.»
Dopo ben quattro mesi di pressioni, Sua Grazia acconsentì, catalogai tutto e misi tutti i pezzi unici online con tanto di prezzo e foto. Lo convinsi a patto che facessi questo lavoro fuori dall’orario di servizio e ricevessi una provvigione del 5% su ogni pezzo venduto grazie ad internet.
Beh quello fu un affare, vendetti online circa 200.000 euro in soli quattro mesi e questo me ne fruttò circa 10.000. Ero diventato socio, un piccolo socio che non conosce il nome del suo titolare, ma sempre un socio.
Qualche tazza fu inevitabilmente rotta, ma le cose scorrevano lisce, gli affari andavano bene e la mia paga oraria aumentò a ben diciotto euro l’ora per otto ore giornaliere. Adesso lavoravo anche in mattinata, ed ero solo, infatti Sua Grazia disprezzava lavorare di giorno. Ripeteva spesso che il lavoro è una tortura moderna e che essere torturati anche di buon mattino è un abominio. Ciò detto, se però io volevo lavorare anche in mattinata non c’erano problemi per lui, bastava solo non chiamarlo e non disturbarlo fino alle ore quindici.
«Allora Michele come sono andati gli affari con quella diavoleria infernale?»
«Ottimamente Sua Grazia, oggi mi ha chiamato un tizio inglese per il lume a petrolio di Virginia Woolf, e mi ha detto che se gli mando tutta la documentazione sull’originalità è disposto a pagarmi 50.000 sterline che se non erro sono circa 60.000 euro.»
«La documentazione… La documentazione a cosa serve? È un lume a petrolio, non serve a nulla! È appartenuto ad una donna malata di mente che ha scritto libri insulsi e si è buttata in fiume.»
«Lo so cosa pensi di Virginia Woolf, però ha un mercato. E poi non era una pazza, era soltanto bipolare. Le persone bipolari non sono pazze, anzi hanno una genialità intrinseca ed una spiccata sensibilità; fino all’anno scorso studiavo psicologia, sono del mestiere.»
«Tu sei del mestiere?»
«Non mi sono laureato ma quasi, ed un giorno lo farò, quando verrò licenziato o ucciso da te.»
«Caro ragazzo non solo ne capisco di antiquariato ma anche di psicologia più di te.»
«Certo l’arte di vendere l’ha aiutata, ma conosce le persone non le loro menti. È un abile venditore, affascinante nonostante l’età, ma la psicologia si studia! È una scienza seria, non tutti sono psicologi mi spiace. Non voglio offenderla o contraddirla, ma su questo non transigo.»
«Non basterebbero tutte le tazzine del mondo! E dammi del tu quando provi elegantemente a sminuirmi!»
«Non ti stavo sminuendo. Ed il chiamarti Sua Grazia da così tanto tempo, senza conoscere il tuo nome e dovendoti dare il tu solo per un tuo comando… Ebbene tutto ciò mi manda in confusione alcune volte.»
«Sono Luciano Guarin, allievo di Watson, ti dice qualcosa il comportamentismo? Ti dice qualcosa Skinner? O forse Pavlov? Ti ricordi del Manifesto del 1913? Vedi quel libro non inventariato? Sì, proprio quello su quel divano anch’esso non inventariato. È Psychological care of infant and child del 1928. Guarda la dedica che c’è dentro.»
«…. To Luciano, I wish all the best to you and hope that… John B. Watson. Lei è davvero Luciano Guarin?»
«Io sono Sua Grazia per te.»
«Mi scusi, ma i suoi libri sono tuttora studiati nelle università italiane, anzi il suo libro. Un fumine a ciel sereno per quei tempi, dopodiché si è ritirato a vita privata.»
«Non parliamo del passato, e non parliamo di cose non inventariate, comunque sì.»
«Ma perché si è ritirato?»
«Mi sono ritirato per vendere pezzi unici… Eh, ho creduto nell’unicità per colpa di una donna. Caro giovane, l’unicità esiste e non solo nell’antiquariato, ma questo si scontrava con tutti i miei studi ed il mio credo. Se John avesse saputo del mio lavoro mi avrebbe spaccato l’intera collezione di tazze in testa, non potevo continuare.»
«In che senso?»
«Datemi una dozzina di bambini di sana e robusta costituzione e un ambiente organizzato secondo miei specifici principi, vi garantisco che sarò in grado di farne un medico, un avvocato, un artista, un imprenditore, un delinquente, questo diceva Watson. Non potevo continuare, tutto per una donna, una sola unica donna. Michele non ti innamorare mai o quantomeno non farla scappare.»
«Già.»
Ormai lo chiamavo Luciano, erano passati quattro anni e Luciano aveva 91 anni. Il negozio era diventato grossomodo mio, ricevevo il 50% di tutte le vendite, non avevo mai sognato di guadagnare così tanto e neanche Luciano credo. La sua clientela rappresentava ormai una nicchia, il 90% delle vendite era fatto su internet ed avevo circa cinque assistenti che mi chiamavano Sua Grazia.
Non si parlò più di cose non inventariate fino a qualche mese fa, quando sul mio pc arrivò una mail da parte della Duchessa di Glandesbury, la nostra miglior cliente, la quale mi disse di volere comprare un pezzo non unico e quindi non inventariato, un divano, per qualsiasi cifra. Ed una donna che ha speso 100.000 euro per cinque taccuini Moleskine di Chatwin può spendere qualsiasi cifra. La risposta del signor Luciano fu irrimediabilmente no.
Al rifiuto comunicato, arrivò una seconda mail scritta dalla Duchessa in persona:
Caro Michele,
da cliente affezionata Le chiedo di vendermi quel divano che si intravede sullo sfondo del tavolo da bridge appartenuto a Madame Flaubert. Intendo riavere quel divano, quello rattoppato ed ammuffito. Non è una questione di prezzo, non ha un grande valore, ma per me è un pezzo unico. Appena mi darà l’assenso alla vendita partirà il bonifico. La cifra che suggerisco è 1.000.000 di sterline, se non la ritiene congrua la adeguerò.
Con devozione
Monique.
«Luciano vogliamo vendere quel divano?»
«Il divano non si vende, non chiedermelo mai più!»
«Si tratta di 1.000.000 di sterline, cioè 1.300.000 euro. Ti prego, prenderò solo i 300.000 ma mi sembra da pazzi non venderlo.»
«Quando morirò lo venderai. Ora no, è un pezzo unico per me.»
«La Duchessa ha detto lo stesso, mi sa che non è un pezzo unico o qualcuno mente.»
«Dannata megera, il denaro non può comprare tutto. È un regalo e non si vende! Basta, stop, kaput, punto.»
«Ok aspetterò che morirai, a meno che le vecchia non muoia prima di te.»
«Ho cambiato idea, il divano mi seguirà anche nell’oltretomba. Ora verrà spostato nel mio appartamento, chiama quei due negri che lavorano per te e fallo portare nel mio appartamento.»
«Luciano sei incredibilmente stupido, ma il divano è tuo: puoi farci quello che vuoi.»
«Per te sono Sua Grazia.»
Arrivò la terza mail da parte della Duchessa, una mail stringata, diceva solo «Scriva la cifra che vuole e sarà pagato, Monique». La stampai e la diedi a Sua Grazia, ormai non potevo più chiamarlo Luciano. Anche questa volta arrivò un no come risposta, e fui costretto a dire anche io no per la terza volta. Passò altro tempo, Luciano non si faceva vedere più tanto spesso in negozio, vecchio orgoglioso e brontolone quale era, ormai passava solo qualche volta al mese e spesso portava con sé un bastone. Non perché gli servisse, ma amava usarlo contro di me per mettere in chiaro chi fosse il capo.
Dopo qualche mese mi arrivò una lettera con una foto della Duchessa insieme a Luciano sul divano ed una banconota da dieci euro. Nella lettera c’era scritto:
Caro idiota,
avevi ragione, il negozio si chiamava Monique, era lei il pezzo unico che cercavo, ritrovatolo non ha più senso continuare a vendere cianfrusaglie. Nessuno dei due mentiva, il divano apparteneva ad entrambi: me lo regalò per il mio primo studio di psicanalisi. Esistono i pezzi unici, caro mio, ma anche Watson aveva ragione. Prendi un bambino sano e robusto ed educalo secondo determinati principi e diventerà qualsiasi cosa vuoi che diventi, e tu sei diventato un amico. Non credere di aver particolari meriti riguardo ciò, non montarti la testa capo.
Ti ringrazio e ringrazio per quella diavoleria chiamata internet, ha fatto miracoli.
S. G. Luciano.
P. S. I dieci euro sono per comprare due tazze e scagliarmele contro. In effetti qualcuna non la meritavi. Tra l’altro, grazie a questo computer chiamato internet, ho scoperto che negro è diventata una parola razzista. In un certo senso avevamo ragione tutti e due, è il massimo che ti concedo.
P. P. S. L’ultimo S.G. sta per Sempre Grato.”
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